La tecnica di messa a fuoco in fotografia dentale
A proposito di messa a fuoco in fotografia dentale devo ricordare che esistono due diverse possibilità: la prima è di affidarsi completamente all’autofocus per cui la macchina deciderà in base a propri calcoli, il punto, o più frequentemente i punti, dove mettere a fuoco e tramite la motorizzazione dell’obiettivo provvederà a raggiungere il fuoco nella zona prescelta.
La seconda possibilità, che in realtà non presenta alcun automatismo, è quella di decidere noi stessi il punto di fuoco tramite la visione a mirino e di operare il focheggiamento manualmente tramite ghiera e movimenti avanti-dietro dell’intera fotocamera.
La messa a fuoco automatica: l’autofocus
La funzione autofocus è preziosa per l’uso generico, ma rende più difficile per l’operatore selezionare il punto di fuoco, poiché tale operazione viene svolta autonomamente dalla fotocamera.
La scelta del punto di messa a fuoco, e quindi delle modalità di messa a fuoco, è importante perché consente di posizionare nello spazio la profondità di campo, in modo di avere tutta o parte dell’immagine perfettamente a fuoco e quindi nitida in tutta la sua estensione.
Chi fotografa senza particolari pretese o per puro diletto, poche volte si porrà il problema del punto da mettere a fuoco, delegando giustamente questa incombenza alla macchina fotografica. Il fotografo evoluto o l’amatore tendono invece a utilizzare il fuoco, o meglio il suo contrario, lo sfocamento, come potente mezzo espressivo: un ritratto d’effetto richiede per lo più lo sfocamento dello sfondo per eliminare le tensioni visive o esaltare la figura inquadrata. In campo documentativo scientifico la necessità di una corretta messa a fuoco è assoluta: infatti non dobbiamo fare foto artistiche, ma semplicemente documentare la realtà nel modo più fedele possibile, ottenendo foto correttamente leggibili e nitide in tutta la loro estensione spaziale.
Il progetto documentativo
Quindi la scelta della modalità di messa a fuoco dipende in realtà dal progetto documentativo del fotografo, da quello che si vuole narrare e comunicare, ma soprattutto dal contesto ove egli si trova ad operare.
È alla luce di questa premessa che dobbiamo giudicare le logiche di funzionamento degli automatismi autofocus disponibili sulle macchine fotografiche, per valutarli criticamente in relazione alle nostre necessità.
Autofocus o manuale?
Se assumiamo il fatto che la scelta del punto di messa a fuoco è importante perché determina la posizione della profondità di campo dell’immagine, e quindi la possibilità di ottenere immagini nitide in tutta la loro estensione, dobbiamo stabilire assolutamente che è l’operatore a dover decidere dove mettere a fuoco e non la fotocamera. Solo in questo modo si potrà realizzare correttemente il progetto documentativo pensato.
La scelta della modalità autofocus, apparentemente la più comoda e logica, si scontra quindi con una peculiare necessità della clinica, che ho già fortemente sottolineato, essere quella documentativa. La rappresentazione veritiera della realtà non richiede l’uso di mezzi espressivi quali sfocamento o particolari effetti filtro o d’illuminazione, ma solo e puramente la riproduzione più fedele possibile.
Le nostre foto devono essere quindi correttamente nitide in tutte le zone e, per ottenere questo risultato, dobbiamo poter esercitare un controllo totale della messa a fuoco. Un altro motivo fondamentale per il quale dobbiamo escludere la funzione autofocus è quello legato alla intima relazione tra il rapporto d’ingrandimento e la distanza focale. Infatti l’azione del focheggiamento comporta una variazione della lunghezza focale e quindi del rapporto d’ingrandimento: se deleghiamo la scelta del punto di messa a fuoco agli automatismi, dobbiamo ricordare che saranno essi inevitabilmente a stabilire il rapporto d’ingrandimento in relazione alla distanza dal soggetto.
Le eccezioni
Ci possono essere alcune limitate eccezioni, ad esempio le foto ritratto del volto, poiché grazie alla maggiore distanza del soggetto il naturale incremento della profondità di campo consente l’uso dell’autofocus, anche perché a distanza è ovviamente più difficile cogliere nel mirino la giusta messa a fuoco del punto prescelto
Messa a fuoco e ingrandimento
Il posizionamento del punto di fuoco ha un ruolo decisivo nella selezione del rapporto di ngrandimento, e questa è un’ultreriore raghiopne per non usare l’autofocus. Nella pratica si osserva infatti che la macchina con autofocus inserito, nel rapido tentativo di focheggiare, varia inevitabilmente anche il rapporto di ingrandimento al di fuori di ogni possibile controllo da parte dell’operatore. Si realizzerebbe quindi la condizione in cui l’operatore non potrebbe decidere il parametro più importante per le nostre finalità, che è proprio il rapporto d’ingrandimento.
La mia opinione è quindi che i migliori risultati si possono ottenere solo lavorando in modalità completamente manuale, decidendo noi stessi sia il punto di messa a fuoco, sia effettuando la relativa manovra di focheggiamento, tramite la ghiera dell’obiettivo e movimenti avanti-dietro della fotocamera. La manovra di focheggiamento è complessa e richiede una tecnica particolare, che prevede sincronia tra i movimenti della ghiera e quelli di allontanamento e avvicinamento della macchina al soggetto. Questa, secondo la mia esperienza, è una delle maggiori difficoltà incontrate da chi inizia a cimentarsi con la fotografia odontoiatrica, ma avendo ben chiari i principi e la tecnica, mettere a fuoco in modo corretto diventerà assolutamente spontaneo, e sdarà facile ottenere bellissime fotografie.